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Clé interactive d’identification des pollens


Evaluation

Rapport d'activités - IIS De Ambrosis Natta (Juin 2007)

Studio della Valle D’Aveto e del suo Microclima

La Val d’Aveto, (vedasi Cartina 1 e Cartina 2) è una zona che si può definire naturalmente ed umanamente piuttosto chiusa, dal momento che è tutta circondata da cime montagnose (rilievo topografico) che sembrano proteggerla da qualunque influenza esterna ed isolarla dai territori limitrofi, mantenendo il fondovalle a seicento metri di altitudine.

La valle dell’Aveto è la più ristretta del versante Nord dell’Appennino Ligure orientale. Per un grandissimo tratto, può essere considerata come un solco che separa due delle più importanti catene montagnose della Regione, solco che si tramuta, poi, in una profonda e ristretta gola.

Il paesaggio è il frutto dei grandi movimenti tettonici e degli eventi legati alle glaciazioni, che interessarono queste zone. Le vette più alte, il monte Aiona e il monte Penna, sono costituiti da rocce appartenenti al gruppo delle ofioliti, dette anche “rocce verdi”, di varia natura e genesi (peridotiti, serpentiniti, gabbri, basalti), originatesi sul fondo dell’antico bacino oceanico ligure-piemontese.

In queste aree erose da antichi ghiacciai, si trovano numerose zone umide; le più famose sono :

  • I laghetti delle Agoraie, inclusi nell’omonima Riserva Biogenetica, accessibile solo per motivi di studio con il permesso del Corpo Forestale dello Stato.
  • Il lago delle Riane, una zona palustre di grande pregio paesaggistico e scientifico.

L’area fa parte adesso del Parco Regionale dell’Aveto attivo dal 1995.

Nel biotipo delle Agoraie sono presenti quattro laghetti perenni: lago degli Abeti, lago Riondo, Agoraie di Merzi, Agoraie di Fondo o Stagno Grande; e due stagionali: Pozza degli Abeti o Stagno Piccolo. Il secondo corpo è lo Stagno Lagastro o Moggetto, anch’esso stagionale.

L’origine dei laghi risale al Quaternario, ad opera dell’ultima glaciazione. La peculiarità che dà il nome al lago degli Abeti è la presenza di alcuni tronchi di abete bianco adagiati sul fondo.

Da una ricerca del 1979 risulta che si tratta di esemplari ancora lignei, non pietrificati, nonostante il conteggio con il carbone radioattivo abbia rilevato un’età di 2610 +/- 40 anni.

Il motivo di tale fenomeno è dovuto sia alla bassa temperatura dell’ambiente, che rende lenti i meccanismi di sostituzione dei sali minerali, sia allo scarso contenuto dei sali stessi nelle acque del lago.

La temperatura dell’acqua, esclusi gli strati più superficiali è costante tra i 4-5°C. Si tratta quindi di un Archivio Naturale.

La vegetazione arborea è costituita da faggi e conifere. Per l’azione combinata del clima e delle acque costantemente fredde sono presenti piante erbacee di ambienti più settentrionali e di qualità più elevata: relitti glaciali tra cui Drosera a foglie rotonde, Trifoglio fibrino, Carice fosca, Pennacchi a foglie strette e a foglie larghe, Crilscione islandico, Licopidiella, Tricoforo. Il Licopodio sta scomparendo dal mondo, ucciso dalla competizione di piante più “prepotenti” e dall’antropizzazione delle zone umide.

Dagli studi sui pollini fossili sono state accertate le successioni della vegetazione negli ultimi 10000 anni. I depositi morenici, frutto del trasporto ad opera dei ghiacciai in lenta discesa verso valle e dell’abbandono al suolo dopo la consunzione dei ghiacci, hanno modificato la morfologia del paesaggio.

Ad esempio a Valle della Rocca del Prete, una morena trasversale ha bloccato la discesa verso il basso dei sedimenti trasportati dalle acque, si sono accumulati materiali argillosi che hanno impermeabilizzato il substrato e si è generato col tempo il lago delle Riane, oggi, in misura massima, colmato dallo sviluppo della vegetazione palustre. In modo analogo si è formato il laghetto del Monte Penna e il Prato della Cipolla, a valle del Monte Bue.

Le zone umide

Le “zone umide” rappresentano uno degli ecosistemi (Esempi di vegetazione: Canne palustri e Equiseto Palustre), più importanti del pianeta: hanno alta produttività biologica; svolgono un’insostituibile funzione di regimazione delle acque provenienti dallo scioglimento delle nevi e dalle piogge primaverili, evitando così improvvise piene a valle e, nella stagione secca, restituiscono le acque raccolte assicurando umidità ai terreni circostanti.

Dal punto di vista economico sono ambienti di grande ricchezza grazie ad un’attiva resa in pescato. Esse vanno perciò preservate: questa necessità è stata sancita a livello internazionale con la “convenzione di Ramsar” (Iran) nel 1971.
Nell’ambito del congresso si è anche elaborata la definizione di zone umide, secondo cui: “le zone umide sono aree palustri, acquitrinose o torbose, o comunque specchi d’acqua naturali o artificiali, permanenti o temporanei, con acqua ferma o corrente, dolce o salmastra o salata, compresi i tratti di mare la cui profondità non ecceda i sei metri con la bassa marea”.

Un tempo l’Italia era allagata per circa tre milioni di ettari, pari al 10% dell’intero territorio della penisola. Secoli e secoli di devastazioni, prosciugamenti, sfruttamenti e inquinamenti vari hanno ridotto e alterato l’originario mondo delle acque interne: oggi sopravvivono 200000 ettari circa di zone umide, dei quali 50000 sono stati dichiarati d’importanza nazionale.

Il lago è una vasta distesa d’acqua circondata dalla terra, che occupa una depressione della superficie terrestre o una valle chiusa. La loro origine dipende da fenomeni naturali, anche accidentali, della più svariata natura. I laghi possono essere catalogati in base alla loro origine come: laghi relitti, laghi tettonici, laghi glaciali, laghi di sbarramento e laghi artificiali.

I laghetti dell’area trattata sono di origine glaciale: occupano in altre parole una zona dove un tempo c’era un ghiacciaio. Quest’origine è documentata dalla presenza di specie “relitte”, cioè specie proprie dei climi freddi qui eccezionalmente sopravvissute; alcune sono rarissime nelle zone appenniniche e addirittura assenti nelle restanti parti della Liguria (ad esempio, tra le piante la Drosera e tra gli animali il Tritone alpino)

Schede vegetazione

Se sino a dieci anni fa il problema del clima sembrava di natura teorica, oramai la sua importanza è realtà imposta a tutti, chiamando in causa associazioni governative sia nazionali che internazionali, per ridurre quanto possibile l’aumento della concentrazione dei gas serra.

 

 

ABETE BIANCO (Abies alba)

Abies: genere di piante della famiglia delle Pinacee, alla quale appartiene l'abete.
Abete: nome di alcune piante di conifere con 215 specie arboree, quasi esclusivamente dell'emisfero settentrionale.
Il genere abies si distingue per le foglie aghiformi e appiattite. La specie alba si distingue per la presenza sugli aghi di strie parallele bianche, facilmente individuabili.
La specie più importante è l'abete bianco (abies alba), dall'aspetto maestoso, che ragiunge anche i 150 m di altezza e i 2 di diametro. Diffuso in Italia sulle Alpi e in alcuni settori appenninici nel piano montano fresco, la sua resina è nota col nome di "Trementina di Strasburgo" o di "Alsazia".
Il legno ricavato dall'abete bianco è tenero, di colore bianco, con venature rossastre, ha struttura eterogenea e presenta numerose nodosità che ne rendono difficile la lavorazione.

 

CANNE PALUSTRI (Phragmites communis)

La canna di palude è una pianta erbacea Monocotiledone della famiglia delle Graminacee: è una specie cosmopolita presente in tutti i canneti preso le rive di stagni e corsi d’acqua delle fasce climatiche temperate dell’emisfero boreale.
E’ originaria della zona mediterranea, è però possibile trovare specie affini, dal fusto ancor più sottile e flessibile, nelle regioni dell’India, della Malesia e dell’Africa equatoriale, dovunque ci sia un clima favorevole caldo-umido.
E’ una delle più grandi Graminacee europee: il fusto legnoso è lungo circa 2 m, robusto, diritto, semplice; gli internodi sono tipicamente cavi. Presenta foglie lunghe e ampia pannocchia di fiori alla sua sommità; tali pannocchie vengono usate per filari, stuoie, ceste, scope, bastoni per la pesca all’amo. Le foglie giovani servono da foraggio; le foglie adulte sono utilizzate come lettiera.

 

EQUISETO PALUSTRE (Equisetum palustre) esspo

La famiglia delle Equisetacee appartiene alle Pteridofite; affini sono le famiglie Asterocalamitacee e Calamitacee, che sono però note solo allo stato fossile.
Lo sporofito consta di un rizoma sotterraneo molto ramificato, capace di penetrare nel terreno fino alla profondità di 1 m. Il rizoma è suddiviso in internodi e nodi; ciascun nodo porta un verticillo di foglie squamiformi, cui si alternano abbozzi di rami che generalmente si sviluppano in fusti e rami aerei o sotterranei. I primi sono verdi e differenziati in nodi ed internodi, con verticillo di rami laterali che ripetono la struttura del fusto principale ad ogni nodo.
I fusti delle Equisetacee sono divisi in epidermide, corteccia e cilindro centrale. L'epidermide è molto silicizzata e scabra: in essa si aprono gli stomi che consentono gli scambi gassosi con l'atmosfera e il trasporto di anidride carbonica ai tessuti più profondi dello strato corticale; in essi sono situati i cloroplasti che contengono la clorofilla, la quale dà il colore verde alla porzione aerea dello sporofito. Al genere Equisetum sono ascritte 30 specie, che sono note genericamente con il nome di "code cavalline" o "code di cavallo", diffuse largamente nel mondo, ad eccezione dell'Australia. Tra gli Equisetum più importanti c'è la specie palustre : essa è legata agli ambienti prossimi ai luoghi d'acqua e cresce nella fascia mediterranea sui rilievi sin verso i 2000 m di altitudine.